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Umami o non Umami

Non tutti conoscono i 5 gusti fondamentali. Almeno non in occidente.

Fai pure una prova: chiedi a qualcuno qual è il quinto di questi (oltre a salato, dolce, amaro e acido). In pochi sapranno dare la risposta corretta.

Ebbene, si tratta dell’Umami, termine giapponese che si può tradurre, alla bell’e meglio, con saporito.

Il suo scopritore fu il chimico giapponese Kikunae Ikeda.

Il dottor Ikeda trascorse, per motivi di studio, diversi anni in Germania all’inizio del XX secolo. E fu durante quel lungo soggiorno che si rese conto come, nella cucina tedesca, esistessero alcuni cibi (come formaggio, asparagi, pomodori e carne) dal sapore particolare, ossia non riconducibile a nessuno dei quattro gusti fondamentali.

Tornato in Giappone, si accorse di aver trovato quel particolare gusto saporito nel “dashi”, un semplice brodo di alghe di varietà kombu.

Ikeda, dopo attente ricerche, scoprì che era l’acido glutammico, un amminoacido presente in vari alimenti, il responsabile di quel sapore.

Ikeda lo isolò, indebolendone l’acidità con l’aggiunta di bicarbonato di sodio, e dando così vita al glutammato monosodico, oggi conosciuto anche come esaltatore di sapidità E621.

Il 24 aprile 1908, Ikeda presentò il brevetto presso gli uffici brevetti di Tokyo. E, ad oggi, è ancora considerato uno dei 10 brevetti più importanti mai rilasciati nel paese del Sol Levante.

Stranamente (ma non troppo, conoscendo il nostro sciovinismo alimentare), ci è voluto molto tempo prima che l’Occidente riconoscesse l’umami.

E questo nonostante l’umami sia presente in cibi molto comuni nelle cucine di Europa e Americhe, come: pomodori secchi, acciughe, calamari, ostriche, cozze, formaggi a lunga stagionatura (su tutti Parmigiano Reggiano e Cheddar), prosciutto crudo, nocciole tostate…

… E carne frollata.

Sì, perché la frollatura esalta il sapore “umami” della carne.

A proposito, fornisco armadi per la frollatura Inox Bim.

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